Scendeva ormai la notte
nella città del pane
le scarpe malridotte
e le ricerche vane
di un posto per la quiete.
La notte era stellata
di luci e di comete,
la luna era argentata.
Scendeva ormai la notte
nella città opulenta
che buoni intenti inghiotte
e la speranza ha spenta.
Per strada luminarie,
viandanti un po’ distratti
da occupazioni varie
natale viene, infatti.
Ed ecco finalmente
un posto per dormire.
Dormire, veramente
è per modo di dire.
Stanotte si travaglia
per il natale agreste:
un letto con la paglia,
le fasce come veste.
Ed ecco finalmente
si aprono le danze
la festa è per la gente,
riempirsi di pietanze.
Ma la stranezza è questa
la tradizione impone
che grassa sia la festa
ma magro sia il cenone.
Stanotte, qui vicino
discende il gran mistero
del seme del divino
che diventa davvero
carne, bisogni e sangue,
slanci, dolori e voglie,
e il mondo intero langue
e soffre per le doglie.
Stanotte, più lontano
chi non ha mai sofferto
di stenti, il mondo sano
che vive ben coperto
e che dentro è malato
si scopre un po' più buono:
qualcosa ha regalato
a chi non serve un dono.
Vegliare è l'occasione
per chi è senza dimora
d'essere testimone
della solenne ora.
Un angelo vi chiama
pastori che vegliate
perché voi in questa trama
l'umanità incarnate!
La veglia invece ha perso
l'umanità caduta
nel mondo nostro inverso
dove fa scena muta
il vero, e l'illusione
ci parla e ci trastulla
in multiconnessione
e ci incatena al nulla.
Ma chi è venuto al mondo?
E' nato un salvatore
e nel buio profondo
di queste nostre ore
la buona novità
potrebbe essere questa
chi veglia lo saprà:
nasce chi si ridesta.
Ma chi potrà vegliare
questa notte di festa?
Chi non sa dove andare,
chi sulla propria testa
ha solo il firmamento.
Nella città dolente,
l'albero adesso è spento,
dorme oramai la gente.
"Splendore e verità
nell'alto spirituale"
si udì quel giorno là
"e in terra, inospitale
ma dove il ben s'invera
per via morfogenetica,
pace, purché sia vera
e non pace sintetica.
Splendore e vanità
sono quello che resta
nelle nostre città
conciate per la festa,
la pace nostra è guerra
solo che non si vede:
c'è chi vuole la terra
sotto una sola fede.
Ma dietro il gran daffare
dietro il barbuto babbo,
l'ipocrisia del dare
regali da nababbo,
rimane inalterata
quell'aria di letizia
come quando si è data
la gran bella notizia:
E' nato finalmente,
è finalmente nato,
la parola, la mente,
il dire argomentato,
che già in principio c'era
e che era già divino
si è fatto carne vera:
adesso è quel bambino.
Sorgeva oramai l'aurora
nella città del pane
e nelle strade, ora
suonano le campane:
è festa, un bimbo è nato
una speranza sale,
il cuore è risvegliato
ogni giorno è Natale.