Nasce, questo invitto sole
di nascosto, e suoi misteri
son celati da parole,
sogni, vani desideri
veglie, doni dati e avuti,
l'eco, oggi come ieri,
di cenoni, di temuti
drammi e orrori esistenziali
delle feste, dei vissuti
che, come angeli senz'ali
riviviamo. Riti, fasti
ci costringono puntuali
dentro pranzi e cene, pasti
dove è in ombra ogni conflitto
ed estatici, entusiasti
diventiamo con profitto
molto più felici e buoni,
consumandoci il diritto
di mangiarci panettoni.
E' natale, perché è ora
di rinascere a tentoni
è natale, ma finora
oltre a poche tinte rosse
l'atmosfera non migliora:
giunge come niente fosse.
Da lontano e indifferente
alla massa, l'Io si mosse,
penetrando tra la gente
suscitando l'acqua e il fuoco
l'aria e il vento travolgente
sulla terra, dentro il poco
dentro il fragile substrato
di un carnale, muto e fioco
corpicino di un neonato.
Meraviglia, gran stupore,
il miracolo incarnato.
Ed in queste stesse ore
dove il sole si nasconde
ed il buio ha il suo sentore
questo segno ci confonde.
Questo sole non accoglie
chi non veglia e non risponde
che alle proprie tare e voglie
ma a chi prende nutrimento
dalle cose che raccoglie.
Questo sole è il sentimento
mai perduto, mai sconfitto
che serbiamo dentro, lento
ma indelebile ed invitto,
la ragione, la speranza
l'estro che non sta mai zitto,
e diventa canto, danza
che danziamo tutti e ognuno,
vita, regola e sostanza.
Notte santa di digiuno
di pensiero che carezza
che ci rende tutti ed uno,
notte d'umile saggezza,
mentre nelle nostre case
piene d'ogni squisitezza
le pareti son pervase
di magia d'altra natura
che alle nostre menti, invase
da pattume e segatura
propinati da ogni parte,
porta incanto e nebbia pura.
Ma una notte l'estro, l'arte
quella forza sovrumana
dell'umanità in disparte
che rinasce, non fu vana.
Quella notte micidiale,
chiara come il giorno, e sana,
dolce all'uomo e all'animale,
molti, accorsero, lì a Greccio:
il natale del Natale.
E stormisce quell'intreccio
di fogliame tra le rupi:
l'olmo e il faggio, il pino e il leccio.
Ed il santo canta, e i lupi
muti stanno, e canta il cuore,
poi ci parla, e non si sciupi
l'ora, e infatti l'oratore
più non parla, adesso bela
bela, il nome dell'amore
quel bambino che rivela
cosa sia il divino, il niente
che è già tutto, e il santo anela
abbracciarlo, e lentamente
si avvicina a quel bambino
che si desta, e nuovamente
carne, sangue, un bel visino
ridiventa, tra le braccia
del giullare più divino.
Santa notte, il cielo abbraccia
nuovamente la sua terra,
ed il sole si riaffaccia
e rivince la sua guerra
sulla la notte, la sua luce
calda e forte ci riafferra.
Santa notte, che ricuce
ogni anno quello squarcio
tra chi veramente in nuce
siamo e questo mondo marcio.
Mondo inane e indifferente
a cui il vero sa d'intralcio
mondo spento ed apparente
pieno d'ogni ben di vuoto
che, deliberatamente
ci convince, col suo moto
d'esser liberi, rendendo
quel che è bello e buono, ignoto.
Dentro il buio più tremendo
dentro il freddo originato
dal gelarsi dentro, orrendo
di un sentire ottenebrato
ci chiediamo quando, e come
avrà forza, senso e fiato
il respiro, il nostro nome.
A chi veglia, a chi non dorme,
la risposta arriva, eccome,
riportata dalle torme
pure d'esseri celesti:
"Oggi è nato, gioia enorme!
Solo fasce ha come vesti!
Su una greppia poverella
troverete un bimbo, e questi
renderà ogni cosa bella!
Luce vera splenda, e suoni
al divino, su ogni stella
nelle altissime regioni,
e negli uomini, verace,
che rilucono a milioni
sopra questa terra, pace!".
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