Se il tempo, che adora le epoche,
può dire stagioni le estatiche
estati, e ai soliti demoni
esilio ridare fidandosi
ritengo fondati gli aneddoti
che al più lo descrivono cinico.
Perfino laddove rivendichi
di dare una forma retorica
alle anse, alle fila drammatiche
di queste folate semantiche.
Fiammate, son rime d'ipotesi
baciate dall'estro ipotetico
di questo maldestro e improbabile
e perso che sono, in quest'opera
che dono, anche se non sollecito
di partecipare alla recita
d'italia, perdono se pèrdono!
Io sono lo spirito vegeto
l'azione del sogno di vomeri
non ho più bisogno di erpici,
la terra mi sembra già fertile,
ma prima, una volta era sterile.
Adesso mi voglio intraprendere
di più, anche se non lo merito,
lassù non mi amano immobili,
ma cambiano, e altro diventano.
Nessuno diventa cercandosi
nessuno, ma ognuno si intrappola
ciascuno per proprio suo compito,
intanto chi sono dimentica.
Io, quando ero pronto ed estatico
dicevo facezie del tipico
non senso che non fa più ridere.
Io so che il riso e il satirico
soltanto agli stolti abbondano.
La notte è ancora fondissima
la notte rischiara una lampada,
rischiare la luce del solito
ed unico sole mi perito,
soltanto alla voce mi limito.
E intanto affiorando non franano
le rime che ho fatto, si tengono.
Ma mai mi dimentivo, mai
che un giorno, affiorando franai.
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