Occhio chiaroveggente che mi spunta
come una macchia sulla pelle, segno
di malattia o di morte, o puro ingegno,
socchiudo il tempo e vedo il meccanismo.
Pensieri formano questo disegno,
una grammatica vera o presunta,
la possibilità che è stata assunta
a paradigma, a verità di fede.
È lungo queste pieghe che mi piego,
e credo solo quello che si vede,
ripetendo lo stesso automatismo.
E il resto scorgo solo se lo nego,
vedendo solo quello in cui si crede
che non è l'esistenza del mio dio.
Cosa contiene il cielo, l'infinito?
Nulla di quello che io chiamo "io",
nulla di questo scialbo solipsismo.
Se lo vedessi, e vedo, se ho capito,
e l'ho capito, se ora me lo spiego,
potrei sentirmi veramente mio.
È così semplice, è così pulito,
non sarò re, se non avrò realismo.
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